intervista giulio masciocchi la provincia como

Nell’impresa degli under30 talento, studio e passione

Il comasco Giulio Masciocchi, 29, anni, designer emergente, ha fondato uno studio con cinque dipendenti. Una storia (non comune) di successo: è iniziato tutto con un paio di occhiali, poi Versace, l’arredo e la moda. L’Italia non è un Paese per giovani. Ma la realtà è sempre pronta a smentire anche ciò che sembra un dato acquisito. Lo dimostra, una volta di più, il caso di Giulio Masciocchi, un giovane talento comasco del design, a 29 anni titolare di uno studio con cinque dipendenti (base a Cernobbio).

Uno studio avviato da sé e non ricevuto in dote, un progetto che si è consolidato nell’arco di pochi anni attraverso un contratto dopo l’altro che è uscito dalla dimensione della startup diventando una vera e propria impresa. Di mezzo ci sono collaborazioni con brand importanti, un servizio su AD (rivista internazionale di design), una vetrina su Amazon tra i designer emergenti. Tanti piccoli grandi mattoni che sono il segno di avere superato quella linea d’ombra che separa la creatività un po’ anarchica degli anni giovanili dalla dimensione adulta del professionista capace di gestire la propria competenza.

Di che cosa si occupa il suo studio?
Il nostro lavoro si colloca tra moda e design. Come studio (G.Disegni) ci occupiamo del disegno per tessuti (abbigliamento e arredo) collaborando con diverse aziende del distretto tessile comasco e con alcuni produttori all’estero. Accanto a questa attività abbiamo sviluppato una certa esperienza nel mondo della decorazione, nella sua accezione più alta, attraverso studio di grafiche ad esempio per oggetti in ceramica. Per quanto riguarda il design, lavoriamo sulla progettazione di oggetti soprattutto nel settore dell’arredamento, in questo ambito ho la direzione creativa di un brand messicano (Polrey Boutique); collaboro con un grande produttore cinese di mobili e con diverse imprese del distretto brianzolo; per Versace Home, accanto ai decori piatti e tessuti, ho ideato la seduta Pop Medusa, presentata all’ultimo Fuorisalone.

Il progetto è quindi un’attività più articolata rispetto al tradizionale studio di disegni per tessuti…
Sì, sin dall’inizio ho cercato di avviare uno studio versatile, più flessibile rispetto all’impostazione classica.

Lo studio lo ha fondato lei?
Sì, da solo, tre anni fa.

E come vi è arrivato? Quali studi ha fatto?
Mi sono diplomato al glorioso Setificio ed è stato un primo step fondamentale, poi mi sono trasferito a Londra dove ho lavorato per un paio di anni come disegnatore tessile, quindi il rientro in Italia con il desiderio di cimentarmi in qualcosa di nuovo, cos’ mi sono iscritto all’Istituto Marangoni dove mi sono specializzato nel design prodotto. Tre anni di formazione molto intensa, poi le cose sono venute da sé.

Primo lavoro importante?
Con un’azienda che produce occhiali da sole, Glassing. La linea ultraleggera che ho disegnato per loro è quella che ancora oggi più rappresenta il mio stile, gli occhiali in fondo sono sì un oggetto di design ma sono anche un accessorio di moda.

E quanto è stato duro affermarsi?
Ho iniziato l’attività come libero professionista con grande naturalezza, ovviamente cercando di dare il meglio in un contesto di grande incertezza. Il lavoro è via via crescuto ed è stato un continuo imparare sul campo, sporcandosi le mani con il fare, un po’ come capita agli artigiani in laboratorio.

E il successo è arrivato rapido…
A 23 anni ho iniziato a collaborare con Versace, in particolare per la collezione Home del successivo Salone del Mobile, Da lì le cose da fare hanno iniziato a crescere, tanti impegni e, giovanissimo com’ero, nessuna possibilità di dire mai di no. Ho fatto anni adattandomi a ogni genere di esigenza, era prioritario acquisire credibilità, fattore non secondario in un settore, quello delle arti applicate, dove c’é una miriade di professionisti magari bravi ma incapaci di dare solidità e continuità al proprio lavoro.

Il successivo step è stata la creazione di una struttura.
Sì, un bel salto, ho investito tutti i primi risparmi. Oggi ho cinque dipendenti, tutti sotto i trent’anni, una persona è laureata in Industrial design, un’altra ha esperienza nel settore della moda, due giovanissime disegnatrici fresche da diploma al Setificio e un’assistente. Ho raccolto competenze diverse, il progetto non è mai stato quello di creare un nuovo studio di disegno tradizionale in un mercato del resto già saturo. Avere una struttura è fondamentale per dare continuità a ciò che si fa.

Quale consiglio si sente di dare un giovane che si avvicina a un settore così complesso? Farcela è una questione di talento, fortuna?
La fortuna aiuta, certo, anche se poi bisogna dimostrare di essere bravi. Il talento si colma con il desiderio di informarsi, non pi può pensare di essere bravi in tutto, nessuno lo è. Io credo che la passione per lo studio sia decisiva, non è fondamentale frequentare chissà quale accademia, ma l’applicazione su ciò che si fa deve essere totale. E poi, quando ho cominciato, mi ha aiutato tantissimo una voglia incredibile di provare, fare, sperimentare. Avrei potuto scegliere una situazione lavorativa più comoda e sicura, ma ho sempre voluto cercare di farcela in ciò che davvero mi ha sempre dato piena realizzazione. Nei tre anni di Marangoni studiavo di giorno e lavoravo sui progetti di notte, un periodo di totale coinvolgimento in ciò che facevo.

E l’esperienza all’estero?
Importante ma ormai quella dovrebbe essere un fatto scontato, naturale.

Quanto è usuale per un giovane affermarsi nel design?
Piuttosto raro, è un mondo generalmente chiuso. In genere un ragazzo dotato va a lavorare in uno studio già affermato. La mia è una condizione privilegiata, lavorare da sé concede grande libertà, ma significa anche responsabilità, disponibilità a mettersi alla prova sempre.

Nel campo del disegno tessile il suo studio partecipa a fiere specializzate?
Sì, all’estero e da due anni anche Comocrea, una rassegna interessante anche se sarebbe bello che vi partecipasse uno numero molto più alto di studi comaschi.

Qual è il suo modo di intendere il design? Quale definizione si sente dare?
Design – come mi è capitato di dire nel passato – è vivere. Sistemare le camicie nell’armadio, comprare una macchina, raccogliere un fiore, cambiare lavoro. La vita è scelta, il design è scelta.

Enrico Marletta, La Provincia, 7 ottobre 2019